di Fabio Galli
Roma, avvolta nella sua eterna magnificenza, si prepara a un nuovo capitolo di splendore in vista del Giubileo del 2025. Nel cuore pulsante della città , lungo la storica via del Corso, due edifici simbolo del passato, Palazzo Sciarra Colonna e Palazzo Cipolla, hanno deciso di intrecciare i loro destini, trasformandosi in un’unica grande istituzione culturale: il Museo del Corso – Polo Museale.
Era come se quei due palazzi, uno ornato di fasti barocchi e l’altro culla di sperimentazioni contemporanee, avessero atteso questo momento da secoli. Palazzo Sciarra, con le sue stanze affrescate e i soffitti carichi di storia, sembrava raccontare sottovoce le glorie di un tempo che fu. Di fronte, Palazzo Cipolla si presentava come l’altro volto della città , quello moderno, audace, fatto di linee pulite e spazi pronti ad accogliere l’arte che rompe le convenzioni. Separati per decenni, ora erano finalmente uniti in un abbraccio architettonico e culturale.
I lavori di riqualificazione erano stati un miracolo di ingegno e rispetto. Camminando attraverso il nuovo percorso che collegava i due edifici, era impossibile non notare come ogni dettaglio fosse stato pensato per valorizzare le anime diverse dei palazzi. La luce naturale, incanalata da superfici di vetro e acciaio, baciava le opere rinascimentali e barocche, mentre, più avanti, pareti digitali prendevano vita con installazioni che danzavano al ritmo delle emozioni dei visitatori.
Chi attraversava quelle sale, oggi, compiva un viaggio nel tempo. Dai capolavori di Caravaggio custoditi nelle stanze nobiliari di Palazzo Sciarra, si passava alle opere contemporanee di artisti che sfidavano i confini della percezione a Palazzo Cipolla. Ma non era solo un viaggio per gli occhi: il Museo del Corso era stato pensato per essere vissuto. C’erano giardini verticali dove rilassarsi, spazi didattici per i più curiosi, e una terrazza panoramica dove sorseggiare un caffè osservando i tetti di Roma.
Quando finalmente il Giubileo sarebbe arrivato, questo museo non si sarebbe limitato a essere una tappa culturale. Sarebbe stato un rifugio, un luogo dove pellegrini, turisti e cittadini romani avrebbero potuto fermarsi e ritrovare un senso di meraviglia, di pace, di appartenenza. Il Museo del Corso non era solo un regalo al Giubileo: era un simbolo della capacità di Roma di reinventarsi senza mai tradire la propria anima.
E così, passeggiando tra quelle sale, sembrava di sentire il respiro della città stessa: un passato glorioso, un presente vibrante, e un futuro pronto ad accogliere chiunque avesse occhi per vedere e cuore per sentire. Roma, ancora una volta, si confermava eterna. E il Museo del Corso era lì per ricordarlo.
Forse c’è qualcosa che sfugge, quando si racconta di Roma e delle sue trasformazioni. Non è solo questione di mattoni, arte o bellezza: c’è sempre un’anima che si muove sotto la superficie, qualcosa che rende ogni progetto più grande del semplice atto di costruire o restaurare. Questo vale anche per il Museo del Corso, nato non solo come luogo di cultura, ma come un ponte tra epoche, una mano tesa tra il passato e il futuro, tra il sublime e l’umano.
L’idea stessa di unire Palazzo Sciarra e Palazzo Cipolla non era priva di rischi. Due identità così forti potevano scontrarsi, generando un’istituzione che rischiava di essere frammentata, senza una vera coerenza. Eppure, contro ogni aspettativa, il risultato non è stata una fusione artificiale, ma una nuova forma di vita. Passeggiando nei corridoi che collegano i due edifici, ci si accorge che l’architettura ha trovato un modo di parlare una lingua comune, dove ogni elemento, dal più antico al più moderno, sembra raccontare la stessa storia: quella di Roma, città che non smette mai di reinventarsi.
C’è qualcosa di intimo nel modo in cui il museo si apre ai visitatori. Non è solo un’esposizione di capolavori: è un invito a partecipare. Le installazioni interattive non sono messe lì per stupire, ma per dialogare. I giardini verticali non sono solo estetica, ma una pausa di respiro, un gesto di cura verso chiunque vi entri. Perfino il caffè sulla terrazza ha un che di poetico, perché mentre sorseggi, ti trovi immerso nella città , con i suoi rumori, i suoi odori, e quella vista che sembra abbracciarti.
E poi c’è Roma, con il suo Giubileo imminente, che osserva tutto. La città non si limita mai a ospitare le sue nuove creazioni: le fa sue, le modella, le intreccia al tessuto urbano come se fossero sempre state lì. Il Museo del Corso, così giovane, è già parte del respiro antico di questa città . I pellegrini che verranno per il Giubileo lo troveranno lì, come un’oasi di arte e riflessione, ma anche come un messaggio: Roma non appartiene a un solo tempo, né a un solo sguardo. È di tutti, e vive nei secoli, adattandosi, trasformandosi, eppure restando sempre, in qualche modo, sé stessa.
Questa è la grande lezione che il Museo del Corso sembra voler offrire. Non si tratta solo di bellezza o cultura, ma di una visione: quella di una città che non teme di guardare avanti, ma lo fa sempre con un occhio al passato e un cuore aperto al mondo.
A Palazzo Cipolla, fino al 27 gennaio 2025, si può vivere un incontro unico con “La Crocifissione Bianca” di Marc Chagall, un capolavoro che vibra di poesia e dolore, sospeso tra terra e cielo. L’opera, dipinta nel 1938, è un grido universale contro l’orrore e la persecuzione, nato in un tempo in cui l’ombra della Seconda Guerra Mondiale si allungava inesorabile sull’Europa.
Una sala quieta, in cui la luce sembra respirare, mettendo in risalto i colori tenui e al contempo penetranti della tela. Al centro del dipinto, Cristo è crocifisso, non come figura cristiana tradizionale, ma come simbolo del popolo ebraico perseguitato. È avvolto in un tallit, il manto di preghiera ebraico, come a unire la sofferenza religiosa e umana in un’unica immagine struggente. Attorno a lui, il caos: case in fiamme, una Torah profanata, figure in fuga che sembrano dissolversi nell’urgenza del momento. Ogni dettaglio racconta una storia di disgregazione e sopravvivenza, eppure il dipinto non è del tutto privo di speranza. Chagall intreccia un filo di luce e resurrezione, con visioni mistiche che salgono verso l’alto: un candelabro acceso, angeli che vegliano, e una promessa silenziosa di rinascita.
L’esposizione a Palazzo Cipolla non è solo una celebrazione di Chagall come pittore, ma un invito a riflettere sulla resistenza culturale e spirituale di fronte alla barbarie. Una narrazione senza tempo, che intreccia arte, storia e fede, lasciandoti con il cuore colmo di domande e una dolce nostalgia per ciò che l’umanità può ancora essere.
(8 dicembre 2024)
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