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Il raccolto di dolore ucraino: qualche anticipazione storica

di Vanni Sgaravatti

Uno dei motivi principali per cui gli eventi riportati nel libro di Robert Conquest “Raccolto di dolore” Editore Rizzoli (il libro che nel 1986 ruppe la congiura del silenzio sull’immane tragedia della carestia terroristica ucraina) non hanno mai fatto realmente breccia nella coscienza occidentale, sembra essere una mancanza di comprensione o di conoscenza della forza del sentimento nazionale ucraino, della nazionalità ucraina.

Su incarico dell’Università di Harvard, Conquest realizza il primo, e per molti anni unico, completo resoconto storico di una delle più drammatiche e devastanti serie di eventi del mondo moderno: l’atroce moria per fame che tra il 1932 e il 1933 uccise in Ucraina milioni di persone.

Come scrisse, nell’introduzione, Conquest: “In questo secolo, uno stato ucraino indipendente è esistito solo per pochi anni e con varie interruzioni e non è mai stato in grado di affermarsi né fisicamente né sulla coscienza mondiale. In realtà, l’Ucraina è grande quanto la Francia e più densamente popolata della Polonia ed è stata la nazione di gran lunga più grande in Europa a non essersi affermata come entità indipendente, se non per pochi anni, nel periodo tra le due guerre mondiali”.

Storicamente, l’Ucraina è un’antica nazione che ha resistito e sopravvissuto a terribili calamità. I grandi principi della Russia di Kiev dominarono tutte le popolazioni slave orientali, ma quando nel 1240 cadde, infine, in mano ai mongoli, il Regno si dissolse. Le popolazioni slave del nord, che vissero per un secolo e mezzo sotto il dominio mongolo, costituirono poi la Moscovia e la grande Russia; quelle del Sud si svilupparono sotto l’influenza degli Stati europei. Dapprima si unirono con il granducato di Lituania, del quale l’ucraino era una lingua ufficiale e successivamente passarono sotto il controllo, per loro meno soddisfacente, della Polonia. Sotto il dominio polacco comparvero nella seconda metà del sedicesimo secolo le prime tipografie e scuole ucraine, ma gli ucraini rimasero confinati nella loro terra semideserta e sottoposta alle devastanti incursioni dei tartari di Crimea. A questo punto fecero la loro comparsa i cosacchi predoni ucraini che dapprima calarono nella steppa per pescare cacciare; quindi, riuscirono a sconfiggere i tartari e alla fine del sedicesimo secolo costruirono le proprie fortificazioni e divennero una vera e propria forza militare

Negli anni 40 del sedicesimo secolo fondarono il Sic, il grande insediamento fortificato lungo i confini dell’invasione tartara. Sic fu per più di due secoli una Repubblica militare, simile ad altre, costituite in situazioni analoghe: Repubblica democratica in tempo di pace ed esercito disciplinato in tempo di guerra. I cosacchi iniziarono presto a porsi a fianco delle rivolte contadine contro i loro sovrani nominali, i polacchi. Nel corso del secolo successivo, una serie innumerevole di guerra e di accordi portò infine, nel 1649, alla creazione effettiva di uno stato ucraino da parte dell’etmano Bohdan Chmel’nic’kyj. Da quel momento vi furono ripetuti tentativi di intervento da parte di Mosca e infine l’etmano Ivan Mazeppa si alleò con Carlo XII di Svezia per difendersi dalle invasioni Di Pietro il grande. La sconfitta di Carlo nel 1709 rappresentò per l’Ucraina una vera rovina. Nel corso del diciottesimo secolo, Mosca continuò in un primo momento a riconoscere l’autonomia dell’Etnamato, restringendo, al tempo stesso, il suo potere, ma mantenendo quello di nomina alla carica di Etmano. Infine, nel 1764, l’Etmanato fu disciolto e solo alcuni dei suoi caratteri più esteriori rimasero fino al 1781. La Repubblica Sic, che aveva combattuto al fianco dei russi contro i turchi nella guerra del 1769/74, fu repentinamente distrutta dai suoi alleati nel 1775. Il suo Etmano fu mandato per legge nelle isole Solovki nel Mar bianco e i suoi colonnelli in Siberia. Un’anticipazione quasi perfetta del destino riservato ai loro successori degli anni ‘20 e ‘30.

Lo stato ucraino, in vita da più di un secolo, cadde come quello polacco, per l’impossibilità di combattere contro avversari troppo numerosi e potenti. Così come la Polonia, lo stato cosacco era stato di tipo parlamentare costituzionale, per molti aspetti imperfetto e tuttavia assolutamente estraneo alla tradizione di estrema centralizzazione e dispotismo che ora da San Pietroburgo incombeva su di esso.

Nel frattempo, anche quegli ucraini rimasti sotto il dominio polacco e che per anni sostennero una serie di rivolte di contadine, caddero presto in parte sotto il dominio della Russia, in parte sotto quello dell’Austria, sua complice nella spartizione della Polonia. Nel corso dei secoli successivi, questo aspetto ucraino occidentale, che la Russia non controllava, sebbene minoritario, ebbe maggiori possibilità di sviluppo politico e culturale e rimase sempre una viva fonte di sentimento nazionale. Il feudalesimo di stile russo e il carattere accentratore portò alla distribuzione di proprietà fondiarie ai favoriti reali russi e una serie di decreti tolsero ogni libertà al contadino ucraino. Fu, quindi, nella seconda metà del ‘700 che, con Caterina II, la repubblica Sic e l’Etnamato ucraino di tipo parlamentare costituzionale furono repressi e assorbiti dalla Russia. La loro cultura, che, come si è detto, era ben diversa da quella dell’estremo servaggio e dispotismo russo, fu improntata culturalmente dall’occupazione dell’orda d’oro dei mongoli.

Nel ‘800, ci fu una specie di risorgimento ucraino, con cultura e poesia ucraina repressa dai Russi, che proibirono, ad esempio, le poesie del Poeta Shevchenko, la lingua e le scuole ucraine. Questo portò all’80% di analfabetismo, ma non riuscì a sradicare l’identità culturale ucraina, che dava fastidio molto più che quella di altre nazioni occupate e represse dalla Russia. Questa repressione durò fino al 1914 e fu questo ritardo nella rinascita ucraina, la mancanza di frontiere precise tra Russia e Ucraina, e l’errata identificazione tra le due lingue, che, ad un’occidente distratto, diede l’impressione che non esisteva una nazionalità ucraina reale.

Nel 1917, dopo la rivoluzione, si formò a Kiev la prima Rada (Consiglio Ucraino) costituito dall’importante socialdemocratico Hruusevskyj e fu formato il primo governo ucraino indipendente con primo ministro Vinnychenko. In futuro, vennero a far parte del governo rappresentanti delle minoranze ebree, polacche e russe. La Rada godeva di un potere reale e dell’appoggio della maggioranza della popolazione. Questa fu la situazione che trovò Lenin quando prese il potere. La Rada il 20 novembre del 1917 dichiarò la nascita della repubblica popolare ucraina, anche se parlava di relazioni federative con la Russia. Alle elezioni per l’Assemblea costituente svoltesi il 27-29 novembre i bolscevichi ottennero il 10%, mentre i socialrivoluzionari ucraini il 52% e le restanti percentuali andarono ai socialdemocratici e al Partito ucraino dei socialisti indipendenti. Nel congresso dei soviet, tenutosi a Kiev tra il 16 e il 18 dicembre del 1917, la stragrande maggioranza votò contro i bolscevichi, i cui delegati scapparono a Charkov, appena occupata dall’Armata rossa sovietica. Convocarono un congresso composto solo da delegati russi, proclamarono un governo sovietico presieduto da Kocjubinskyj. Ma, al negoziato con i tedeschi a Brest Litovsk, il governo bolscevico rinunciò, su iscrizioni di Lenin, a qualsiasi rivendicazione sull’Ucraina, riconoscendo così implicitamente la sua indipendenza. Inoltre, essendosi la Rada rifiutata di collaborare con Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, questi ultimi appoggiarono il 29 aprile 1918 un colpo di Stato da parte del generale Pavlev Skoropadskij, che si autoproclamò Etmano e che governò fino a dicembre in collaborazione con russi ed esponenti della nobiltà terriera.

Il secondo regime sovietico in Ucraina si basava in parte sulla previsione di Lenin che sarebbe scoppiata una rivoluzione proletaria internazionale. Tali previsioni derivavano dal parere della commissione costituita da quattro russi e due ucraini. Cristian Rakowski fu nominato capo dello Stato della nuova Repubblica sovietica Ucraina e scrisse una serie di articoli in cui affermava, in pratica, che il nazionalismo ucraino era un capriccio di pochi intellettuali, che invece i contadini volevano che si parlasse loro in russo. Sembra molto simile alla visione dello Zar Putin dei giorni nostri, quando prima pensò che il popolo ucraino era manipolato da pochi nazisti, per poi ritirare quel poderoso esercito che avrebbe dovuto occupare Kiev in pochi giorni, per poi attribuire ai perfidi occidentali la capacità di difesa e di manipolazione degli Ucraini, che, così facendo, hanno solo ritardato la vittoria imperiale russa, responsabili, di fatto, di tutti i morti in terra ucraina. Non c’è neppure troppa fantasia in queste narrazioni, basta fare un copia incolla dal passato.

Il 22 gennaio 2018 la Rada proclamò la Repubblica ucraina indipendente, ma il 12 febbraio l’armata rossa entrò a Kiev, fece fuggire la Rada e proclamò un governo fantoccio. Il primo capo della Cecka, la polizia bolscevica, il terribile Latsis così dichiarava:

“In 1918, while a deputy chief of the Cheka in Ukraine, he called for sentences to be determined not by guilt or innocence but by social class. He is quoted as explaining the Red Terror as follows:

We are not fighting against single individuals. We are exterminating the bourgeoisie as a class. Do not look in materials you have gathered for evidence that a suspect acted or spoke against the Soviet authorities. The first question you should ask him is what class he belongs to, what is his origin, education, profession. These questions should determine his fate. This is the essence of the Red Terror”. (https://en.wikipedia.org/wiki/Martin_Latsis).

Come è evidente, quei terribili conflitti non furono solo quelli che una semplice narrazione semplificatrice ci ha raccontato: i comunisti da una parte e le armate bianche dall’altra.

Alla lotta contro l’autodeterminazione delle nazioni, si unisce la questione contadina, comprensiva di un odio indiscriminato verso l’inumano soggetto rurale, per come veniva considerato: il nemico dell’industrializzazione, risultato di una visione storico intellettuale propagandistica, maturata nel XVIII secolo e culminata con le dichiarazioni degli intellettuali razionalisti bolscevichi nel 1905, e che era parte integrante della visione espressa da Lenin, l’architetto della rivoluzione.

Lenin disse che l’unione operai-contadini era solo contingente, ma in futuro solo la dittatura del proletariato sarebbe sopravvissuta e l’autodeterminazione delle culture nazionali sarebbero sparite, insieme al contadino individualista.

È il naturale background che fa da sfondo all’entrata di scena del nuovo Zar, Stalin, producendo il più micidiale genocidio per carestia terroristica del popolo ucraino come disse Trockij: “In nessun luogo la repressione, le epurazioni, l’assoggettamento e tutti i tipi di vandalismo burocratico in generale hanno assunto proporzioni così micidiali come in Ucraina nel tentativo di schiacciare la tenace lotta sotterranea del popolo ucraino per una maggiore libertà e indipendenza” (op. cit. Pag. 370).

In una fase attuale in cui, almeno per molti, il fantasma di Stalin sembra riemergere nelle narrazioni storico politiche, reincarnato nel nuovo zar, e nel momento in cui alcuni giovani europei mettono insieme Israele con Ucraina, uniti solo dal fatto di avere un unico nemico, l’Occidente, la mancanza di dettagli emotivi sull’est alimenta una visione parziale. Una gran parte dell’opinione pubblica in Occidente, che si percepisce come dissidente, conosce emotivamente molti dettagli dei comportamenti dell’Occidente considerati causa di una precarietà socio esistenziale e disuguaglianza sociale, ma liquida l’aggressione delle altre egemonie con un semplice: “Non mi sono certamente simpatici i despoti che stanno dall’altra parte”.

Corrisponde alla visione di chi li vive semplicemente come un’alternativa all’Occidente, senza chiedersi: “Chi sono? Perché? Cosa fanno? Cosa hanno fatto?”.

Sembra che non ci sia tempo per studiare, occorre innanzitutto ritrovare un senso collettivo perduto, ricomponendo anche contingentemente, quella frammentazione di valori e di umanità vissuta da questa parte. Gli altri sono, l’altra faccia della luna, quella nascosta, quella che almeno è diversa dal nostro mondo occidentale. Quella che viene rappresentata negativamente dai media ufficiali, proprio quelli contestati, perché rappresentanti del sistema che vogliamo cambiare. Proprio per questo, proverò in articoli successivi a mettere in luce, ancora una volta, quegli orrori che stanno ancora nella memoria dei nonni degli ucraini, anche se, per limitare una ricostruzione narrativa troppo soggettiva, non collegherò in modo esplicito la storia con la cronaca, lasciando la libertà di trovare le connessioni.

Find’ora, mi pare corretto esplicitare che concordo con quanto sostenuto dal prof. Andrea Graziosi nel libro: “L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia”, editori Laterza, che sarebbe sbagliato vedere il conflitto russo ucraino come un lotta tra due classici nazionalismi europei, uno scontro tra Mosca e Kiev, quando piuttosto dovrebbe essere considerato come il prodotto della comparsa e della crescita di due fenomeni nuovi, incarnati da due diverse concezioni di cosa siano uno stato e una società e di come essi possono rigenerarsi: la prima si basa sulla necessità di creare un mondo russo ma non è eticamente solo tale come risposta al declino e alla corruzione di ciò che chiamiamo Occidente. La seconda, invece, ha il suo nucleo nell’inattesa trasformazione in un nazionalismo tradizionale tipico dell’Europa centro orientale ma è ben presente anche nel mondo italiano tedesco verso una visione aperta del paese, che non rinnega il suo passato e le sue identità, ma li usa per costruirne di nuove, trasformando quell’ “Occidente corrotto.

È sbagliato, a maggior ragione, vedere le cause del conflitto nelle mosse di due singole superpotenze in cerca di rinnovate egemonie, ma piuttosto il risultato di tensioni locali, in cui una delle due, quella russa è coinvolta ed in cui il passato recente conta quindi e molto, ma conta anche quello più lontano, tanto nei suoi lasciti quanto nelle sue interpretazioni.

Se proprio vogliamo guardare con la lente solo le responsabilità dell’Occidente, possiamo vedere le nostre collusioni affaristiche, come alleati dell’invasore, prima e le motivazioni nell’appoggiare la guerra di liberazione relative magari anche ai vantaggi strategico economici che ne potrebbero derivare. Anche se sembrano essere criteri interpretativi molto semplificati e poco specifici. Personalmente, nonostante l’anacronismo populista delle lotte per la difesa della sovranità nazionale, concepisco la difesa dei confini di un territorio, fino all’estremo ed eccezionale caso di una difesa armata, non certo in nome di un nazionalismo tout court, ma per mettere una barriera, si spera sempre temporanea, tra due modelli di vita che non sono integrabili e non possono ispirare una governance unitaria.

È il caso dei confini tra Iran e Italia (anche se, per fortuna, non abbiamo confini fisici in comune), tra Corea del nord e Corea del sud e anche tra Ucraina e Russia. Per questi ultimi, al di là della percezione corrente, la distanza dei modelli è rimarcata fin dal 1240, pur con fase alterne. Dalla parte ucraina, si è registrata storicamente una tendenza verso una distribuzione del potere su base regionale, una convivenza multietnica; mentre, dall’altra, un accentramento, un’oligarchia e un’imposizione di valori dal centro, oggi affidati all’ex criminale, ex spia sovietica, oggi oligarca e capo della Chiesa Ortodossa, Vladimir Gundjaev, in arte Padre Kirill.

 

 

(26 aprile 2024)

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