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Le ultime temperature registrate e il cambiamento climatico, tra utopia e negazione

di Vanni Sgaravatti

La temperatura media registrata nel mese di luglio è stata di 0,23 gradi più alta del picco mai raggiunto prima, più alta di 0,72 gradi della media 1990-2022 e 1,5 gradi della media 1890-2022. Però per comprendere questo trend (e farlo comprendere ai negazionisti) occorre conoscere almeno tre fattori: a) la credibilità delle fonti (registrazioni ufficiali ONU), b) la differenza tra temperatura registrata e temperatura percepita e c) temperatura media (una rinfrescatina fa bene anche a chi crede al cambiamento climatico.

Naturalmente le polemiche attengono anche alla causa naturale o antropica di questo cambiamento. Su questo mi appare convincente affidarsi alle ricerche di innumerevoli esperti, corredate di risultati incontrovertibili e che sono consultabili un po’ ovunque, dalle quali si evince come la temperatura media è aumentata del 100% rispetto ai 20 anni precedenti (crescita logaritmica, più o meno).

Difficile pensare che la natura che ragiona in millenni compia balzi “medi” in microsecondi (in scala planetaria). Diciamo allora, almeno per definizione, che non sono naturali. Ma possiamo lasciar perdere per un momento la discussione sulle cause e rimanere agli effetti, parlando di temperatura percepita. A tutti sono noti i fenomeni che modificano la percezione, come il vento e l’umidità. Dovrebbero anche essere noti i fattori quali le condizioni sociali così diverse nelle zone del pianeta (presenza per fare un solo esempio di condizionatori di aria a casa e negli uffici, per chi lavora), le condizioni culturali: cioè l’abitudine a sopportare variazioni diverse da zona a zona. Meno noti sono gli effetti nella memoria della variazione climatica: come per il dolore, rimangono in memoria le variazioni spalmate in tempi più lunghi e meno quelle che finiscono rapidamente dopo un picco (come per il dolore del parto) violente per unità di tempo e più recenti in ordine cronologico. Per non parlare, inoltre, della condivisione delle notizie e degli umori dei propri simili che ci influenzano e che apprendiamo tramite i media, i quali registrano le voci di alcuni e non di tutti.

E questo, sia perché chi abita in zone già degradate dal punto di vista sociale e ambientale non ha solitamente voce diretta e indipendente e sia perché subiscono una serie di problemi che impediscono di isolare il fenomeno climatico da altre sventure (le bombe sulla testa o il mare sulla testa per quelli che annegano). Ad eccezione naturalmente delle siccità, quando si tratta di raccogliere il seminato, ma anche qui i motivi reali o no, sono determinati spesso da scelte di accaparramento di alcuni (colonizzatori, ad esempio) verso altri. Se la temperatura media si alza con sbalzi più violenti, in quella parte del mondo tecnologica e ricca da sempre abituata a disporre di strumenti per rendere vivibile l’ambiente e della stessa temperatura nei posti dove la differenza compromette la produzione alimentare e compromette le condizioni di vita necessarie alla vita e alla produzione, come verrebbero percepite queste differenze nei due “mondi” (quello che conosciamo e l’altro)?

Nel mondo ricco sono percepite tramite le variazioni di prezzo di beni che altri non si possono permettere e sono ovviamente percepite dalle notizie dell’altro mondo, attraverso i media. Ma se coloro che apprendono queste notizie dai media non credono più neppure alle istituzioni (fonti accreditate delle notizie) e se i media tendono a dar voce a quello che le persone vogliono non sapere, è anche per nascondere la drammaticità del problema e le responsabilità morali? Ma, non è vero forse che dalla colonizzazione e dalle differenze nei costi delle risorse nel pianeta abbiamo tratto ricchezze che hanno comportato un nostro maggiore benessere? Non è forse vero che un paio di secoli fa, alcuni Lord inglesi, limitati dai confini della loro isola erano ben consapevoli che l’unico modo per espandersi era quello di prendere le risorse alimentari altrove ed esportare il conflitto sociale fuori casa? E non è forse vero che la narrazione morale (dalla missione civilizzatrice in avanti) ha permesso di trovare le ragioni per digerire queste ingiustizie?

E allora ci si potrebbe chiedere: perché dopo secoli di questo tipo di sviluppo, proprio quando i problemi planetari richiederebbero una morale altrettanto planetaria, quasi impossibile da praticare, la via della negazione come giustificazione morale non dovrebbe apparire come quella che molti percorrono anche perché semplice e ben sperimentata?

Credo che a queste domande non si possa rispondere che affermativamente e che semmai un negazionista possa ostinarsi a dire che adesso è diverso e che così come stanno manipolando con gli algoritmi la nostra vita, perché non pensare che lo stiano facendo per tutto, magari per interessi dell’imprese green e per favorire i benpensanti progressisti della porta accanto (ma non stavamo parlando di planetario?).

Ma torniamo, per concludere questo breve commento, al fattore apparentemente più semplice, più razionale: il concetto della temperatura media: facciamo un esempio facile, facile senza prendere in considerazione i fastidiosi fattori morali e sociali.

Se la temperatura media si alzasse di quattro gradi in tutte le terre non abitate dall’uomo e si abbassasse di due gradi in quelle dove l’uomo vive, la temperatura media planetaria sarebbe aumentata di 2 gradi. Noi potremmo percepire una temperatura più rigida, ma complessivamente la vita degli uomini sarebbe la stessa se tutto il pianeta si raffreddasse di 2 gradi e non solo la parte abitata? – ad ulteriore testimonianza che le decisioni di un ipotetico governo mondiale non potrebbero basarsi sull’umore della gente condizionata dalla percezione delle proprie condizioni di vita (più freddo).

Di conseguenza, in accordo con tutti i rappresentanti politici mondiali, occorrerebbe ordinare la distribuzione degli impegni, in base alle proprie capacità, sulla base della fiducia dei rappresentati che chi governa, supportato da chi ha studiato, conosce e previene gli effetti negativi futuri assegnando costi da sopportare nel presente.

Da questa favoletta si capisce come diventa necessario trovare il senso nel “provarci”, altrimenti potremmo tutti andare a sentire le ultime suonate della banda del nostro Titanic planetario, e continuare a basarci su questo quadro ideale e soprattutto utopistico: morale planetaria, cooperazione tra tutti i governanti, fiducia nelle istituzioni mondiali, disponibilità ad impegnarsi dei politici, sapendo che gli ipotetici benefici costituiranno gratificazioni per i politici che verranno.

 

 

(10 agosto 2023)

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