Regista di innumerevoli documentari e cinema di fiction, l’amico regista Andrea Natale ama interrogarsi sulla realtà con il suo cinema, come ha fatto ad esempio con opere come “Fuori le Mura”, sul rione prati di Roma e “L’ultima transizione tra memoria e futuro” dove ha affrontato il post covid con grandi nomi del mondo della cultura e della politica.
L’abbiamo intervistato per parlare del suo rapporto coi suoi genitori, di mascolinità tossica, di affettività e solidarietà maschile, femminicidi e tanto altro.
Che tipo di educazione credi di avere avuto dai tuoi genitori come individuo e come uomo?
Un’educazione rigida in una famiglia matriarcale, in cui comandavano mamme e nonne. Ciò che era più importante era il rispetto, degli altri e delle regole. Mi ricordo l’esagerazione nel controllo di alcuni aspetti, come il linguaggio, cose da non dire assolutamente, in particolare nei contesti pubblici. Oppure la paura: di molte cose, pericoli ovunque, preoccupazioni spesso eccessive per tutte le novità e in generale verso l’ignoto, gli imprevisti. Alcune volte mi facevo prendere dall’ansia, si arrivava ad avere paura delle paure. Di me si occupava soprattutto mia madre, che fino all’età adulta è stata sempre presente. Nell’adolescenza mi sono spesso ribellato facendo il contrario di quello che ci si aspettava da me. Con il passare del tempo, mi sono reso conto che è giusto rispettare le convenzioni sociali, per vivere meglio.
Che rapporto hai avuto con tua madre e con tuo padre?
Mia madre è stata una figura autoritaria, nel bene e nel male. Mio padre, spesso si comportava invece più come un amico, per lavoro non lo vedevo ogni giorno come mia madre, ma nei momenti difficili ci sono sempre stati entrambi. Mi sono sempre sentito protetto da mio padre, mi ha guidato emotivamente ed è sempre stato con me molto aperto e empatico. Non si è mai vergognato di essere se stesso. Mi ha mostrato sin da subito le sue fragilità oltre ai suoi punti di forza e questo mi ha aiutato a non essere un prototipo di uomo-rambo che non deve chiedere mai e che magari dentro soffre però come un cane.
Si parla tanto di questi tempi di machismo e mascolinità tossica. Che cos’è per te essere un uomo?
Il macho puro non esiste più, o forse non è mai esistito. Se esiste è una maschera. Essere un uomo non significa sentirsi superiore o inferiore rispetto a qualcun altro. Un uomo trasmette sicurezza anche quando dentro sa che le cose non stanno andando nella direzione che sperava. Non si approfitta dei più deboli. Uomini non si nasce, si diventa. È un lungo percorso, bisogna imparare a riconoscere i propri errori, non bisogna vergognarsi di chiedere scusa.
Quali sono gli aspetti della mascolinità che non ti piacciono?
Non mi piace reprimere le emozioni, i maschi devono avere il coraggio di piangere nei momenti di sofferenza, non aspettare, far finta di nulla per poi lasciarsi sopraffare, rischiando che il dolore si trasformi, sfociando in attacchi incontrollabili di ira o peggio di violenza. Spesso si definisce come “Macho” la figura di un uomo eterosessuale. Trovo ironico tutto ciò, visto che il concetto di “machismo” nell’antica Grecia era strettamente connesso al concetto di omosessualità. Ciò che non mi piace insomma sono soprattutto gli stereotipi, il residuo di un tipo di educazione che ormai è perlopiù superato, fortunatamente.
Ma secondo te tra uomini si è più solidali affettivamente?
No, anzi, vedo molta invidia; molti uomini assumono degli atteggiamenti imbarazzanti. Molti uomini hanno atteggiamenti infantili, non riescono a superare la fase adolescenziale nonostante l’età anagrafica avanzi. Non essendo indipendenti, è forse più difficile rendersi conto di quali siano i veri problemi della vita. Tra amici spesso non ci si rende conto che non è tutto una gara, non si può pensare di avere gli stessi obiettivi, gusti o punti di vista, non esiste una verità assoluta, ma tante e sarebbe il caso di imparare dalle gioie altrui e essere felici insieme, lasciandosi contagiare dalla positività degli altri.
Come vedi il fenomeno dilagante del femminicidio in questo paese?
La situazione è preoccupante. Molto spesso il problema sono i genitori, che dovrebbero seguire meglio i propri figli. Ne trascurano, ad esempio, l’educazione emotiva. Con il risultato che molti maschi non avendo un dialogo con la propria emotività sono delle pentole a pressione, sfogano nella rabbia le loro frustrazioni e i loro dolori, ricorrendo alla violenza perché sono stati privati di un elemento fondamentale, la percezione della loro sensibilità. Di questa sensibilità che è umana gli uomini si vergognano ancora oggi. Gli andrebbe invece insegnato ad ascoltarla per migliorare il rapporto con se stessi e con le donne che cambierebbe radicalmente in meglio. Ne sono certo.
In che cosa potrebbero migliorare gli uomini nei loro rapporti con le donne (e viceversa)?
Tutti indossiamo una maschera, ma bisogna essere più onesti, nei rapporti di coppia e non, nessuno è perfetto. Secondo me, le donne nei rapporti di coppia sono quelle con meno problemi. Gli uomini spesso sono ingenui e si fanno dominare troppo dalle donne, diventano succubi e incapaci di prendere qualsiasi decisione senza di loro, ad esempio. Invece le donne si innamorano di uomini sbagliati e credono di poterli cambiare, oppure si accontentano di un partner che non è in grado di capire le loro esigenze e sopportano in silenzio pensando che gli uomini siano tutti uguali.
C’è un episodio della tua vita in cui hai visto atteggiamenti machisti che non ti sono piaciuti?
Tanti nell’adolescenza, ma nessuno in particolare; tutti frutto di insicurezze personali. Ho visto tanti uomini in palestra fare esercizi davanti allo specchio, ma non solo: maschi con il volto e il fisico deformati. È come se fossero alla ricerca di un ideale di perfezione, concentrati solo su loro stessi e sul loro aspetto, ma questa ossessione invece li porta a risultati grotteschi. A vederli da un occhio esterno fanno impressione. C’è tanto fanatismo nel loro inseguire un’ideale maschile che sia quanto il più virile possibile ma i risultati che ottengono sono spesso macchiettistici e portano questi uomini a essere una pantomima di se stessi che nulla ha che vedere con una mascolinità e una virilità positive.
A un figlio maschio cosa insegneresti da padre?
Il rispetto per gli altri, ma innanzitutto per se stessi. Imparare ad ascoltare, fermarsi un attimo, comprendere l’altro prima di attaccarlo e di essere violento. Per fare questo un figlio non va censurato nella sua sfera emotiva, come ho detto prima, anzi, bisogna fargli capire che è bella, giusta e umana. Solo lasciandolo libero di essere totalmente se stesso e di esplorare le proprie fragilità senza reprimerle, si potrà fare in modo che lui sappia amarsi e possa risolvere i conflitti con gli altri in maniera non animalesca e impulsiva.
Come dovrebbe evolvere secondo te una società che si dica giusta e paritaria?
Si dovrebbero abbandonare le etichette. Siamo “etichettati” come consumatori di prodotti commerciali, ci spingono a comprare oggetti inutili e condividere online le esperienze fatte perché “fa fico”, invece di gustare il momento. Le persone dovrebbero tornare a riunirsi e fare gruppo, vivere e condividere nel mondo reale, per creare, costruire, inventare, aprirsi alle novità e al futuro. Dovremmo essere considerati come essere umani, lasciarci guidare di più dalle nostre emozioni e non lasciarci influenzare da un algoritmo.
(17 luglio 2023)
©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata