di Vanni Sgaravatti
In alcuni articoli divulgativi avevo sottolineato come per molti neuroscienziati, il comportamento e la cognizione del presente sono il risultato della memoria delle percezioni passate della realtà, unite all’interpretazione degli input emozionali che ci arrivano dal momento presente, combinate nella nostra narrazione del mondo.
La narrazione è, quindi, centrale nel costruire una nostra visione del mondo, ma quando siamo di fronte alla guerra in corso, anche se vista dal nostro salotto attraverso uno schermo televisivo, prendiamo posizione, abbandonati al nostro istinto, senza alcun interesse a chiederci se la narrazione interpretativa che ci facciamo in testa coincide con la “vera” storia di quelli che sono coinvolti. La storia un po’ più lontana, potrebbe prestarsi a riflessioni meno partigiane, se quella recente sulle ribellioni di piazza Euromaidan è così controversa.
Nell’ultimo film del regista Nanni Moretti “Il Sol dell’Avvenire” si parla di come sarebbe potuta andare se il partito comunista avesse dichiarato la rottura con l’Unione sovietica dopo l’invasione nel ’56 dell’Ungheria.
Direi che l’invasione dell’Ucraina da parte della neocostituita Armata Rossa, nel 1918 è stata la prima e la matrice di questo tipo di invasioni. Attuata in coerenza con il pensiero dichiarato dai bolscevichi di Lenin, così come Hitler aveva scritto quello che avrebbe fatto nel suo Mein Kampf, così come Putin ha scritto e ha dichiarato esplicitamente e da tempo il suo programma.
Gli Ucraini sono talmente determinati che la pace russa può essere solo imposta: il fatto che chi li aiuta abbia a sua volta vantaggi egemonici è un problema interno nostro o di alcuni di noi, che con una visione, a mio personale avviso, autocentrata e italocentrica, lottano contro quello che non va della propria cultura dominante. Ma è l’ultimo dei problemi degli ucraini.
Alla televisione (Porta a Porta del 26 Aprile), la figlia di Solženicyn, e due ucraine ospiti di Vespa. alla domanda: “Ma non ci sono ucraini che vorrebbero cedere almeno qualcosa ai russi?”, rispondono: “Voi occidentali non capirete mai la lotta nostra e la paura dei paesi baltici. Non conoscete la nostra storia, non sapete cosa vuol dire stare sotto i russi. O libertà nel nostro territorio o nulla. Non ci interessa null’altro”.
Ci saranno anche interessi occidentali e quando mai nella storia delle nazioni non ci sono interessi che motivano l’aiuto degli “altri”. La narrazione morale è al massimo parallela, più spesso postuma.
Provo allora a farmi qualche domanda: ma perché l’invasione ucraina da parte della Russia sarebbe diversa da quella della stessa Russia verso l’Ungheria? Perché le regioni ungheresi apparterrebbero tutte in modo omogeneo ad una nazione culturalmente e storicamente differente, mentre il rispetto della sovranità ucraina è solo una questione formale di diritto internazionale? Perché tutti gli Ungheresi vedevano nei carri armati sovietici dei nemici e invece ci sarebbero molti ucraini che, secondo qualcuno di casa nostra, vorrebbero essere liberati e annessi alla Russia? La protesta degli Ungheresi era più giusta perché mirava alla libertà, mentre quella ucraina no? Qualcuno forse pensa che il nazionalismo ucraino sarebbe forse un’imposizione di una ideologia da parte di un gruppo dirigente con il consenso di una minoranza ucraina? Gli Ucraini non sono mai stati e non hanno mai voluto essere una nazione indipendente nella storia e quindi sono spinti alla separazione dai russi dalla seduttiva cultura consumistica occidentale? Altrimenti sarebbero stati popoli fratelli, accomunati dalla stessa ideologia sociale?
Ad ognuna di queste domande la storia documentata può rispondere. Ci sono risposte che non hanno l’ombra del dubbio, altre possono essere più controverse, ma la narrazione storica può fornire risposte. Perché non lo facciamo, utilizzando ricerche e libri con bibliografie accreditate ed evidenze riportate (citazioni di personaggi, documentabili, ad esempio)? È evidente che nessun articolo può raccontare una storia così lunga e complessa, proviamo a farlo per titoli.
Nel XIII secolo il principato di Kiev era il principale riferimento identitario degli Slavi orientali, che in quella zona mantenne una identità anche quando l’orda d’oro mongola assorbì e invase la zona di insediamento di parte dei Rus, spostati nella zona dell’attuale Mosca.
Dal XVI al XVII secolo, l’Ucraina mantenne una propria identità culturale e l’Etmanato di Kiev, prima fece parte del Regno di Lituania e poi di Polonia. Ma fu nella seconda metà del ‘700 che con Caterina II, la repubblica [sic] e l’Etmanato ucraino di tipo parlamentare costituzionale furono repressi e assorbiti dalla Russia. La loro cultura non era come quella dell’estremo servaggio e dispotismo russo. Nel ‘800 ci fu una specie di risorgimento ucraino con cultura e poesia ucraina repressa dai Russi, che proibirono, ad esempio, le poesie del Poeta Schevchenko, la lingua e le scuole ucraine. Questo portò all’80% di analfabetismo, ma non riuscì a sradicare l’identità culturale ucraina, che dava fastidio molto più che quella di altre nazioni occupate e represse dalla Russia.
Questo durò fino al 1914 e fu questo ritardo nella rinascita ucraina, la mancanza di frontiere precise tra Russia e Ucraina e l’errata identificazione tra le due lingue che, ad un’occidente distratto, diede l’impressione che non esisteva una nazionalità ucraina reale.
Dopo la rivoluzione bolscevica, le nazionalità furono considerate un elemento della economia borghese capitalista. Lenin nel 1913 citava Engels, sostenendo che nessuna nazione piccola aveva il diritto di esistere, che le nazionalità potevano essere mantenute solo se utili alla lotta di classe, ma poi dovevano essere schiacciate se il principio di autodeterminazione entrava in contraddizione con il principio assoluto di dittatura del proletariato. A dispetto di questa visione russa, nel 1917 si formò a Kiev la prima Rada (Consiglio Ucraino) costituito dall’importante socialdemocratico Hruusevskyj e fu formato il primo governo ucraino indipendente con primo ministro Vinychenko. In futuro vennero a far parte del governo rappresentanti delle minoranze ebree, polacche e russe. La Rada godeva di un potere reale e dell’appoggio della maggioranza della popolazione e il 20 novembre del 1917 dichiarò la nascita della repubblica popolare ucraina, anche se parlava di relazioni federative con la Russia.
Alle elezioni per l’Assemblea costituente svoltesi il 27-29 novembre i bolscevichi ottennero solo il 10%, mentre i socialrivoluzionari ucraini il 52% e le restanti percentuali andarono ai socialdemocratici e al Partito ucraino dei socialisti indipendenti. I delegati bolscevichi scapparono a Charkov. Il 22 gennaio 2018 la Rada proclamò la Repubblica ucraina indipendente, ma il 12 febbraio l’armata rossa entrò a Kiev, fece fuggire la Rada e proclamò un governo fantoccio.
Ancora e sempre si abbatté la repressione russa del nazionalismo ucraino, senza soluzione di continuità, demolito con Caterina II, affiorato nel risorgimento ucraino dell’800 con scrittori e poeti, represso nuovamente dallo zarismo, sommerso e poi riapparso con la rivoluzione comunista in cui i socialisti rivoluzionari ucraini ebbero un ruolo specifico fondamentale.
E poi ancora represso dai bolscevichi russi che, in un primo tempo acconsentirono alla suddivisione delle terre ai contadini, per poi riprendere il controllo con la collettivizzazione, sulla base di proclami e linee teoriche ben documentate nei discorsi ufficiali dei membri del comitato centrale (Sverdlov affermò: occorre creare un conflitto di classe, inventare una classe Kulaka in Ucraina anche se non esiste più, per poter affermare il potere come abbiamo fatto in Russia) e con la repressione della lingua ucraina (il primo capo della Ceka, il famigerato Lacis uccideva personalmente in strada chi parlava ucraino, come testimonia il dirigente comunista Zatonskij).
Negli anni 20/21, ci furono 203 insurrezioni in Ucraina composte da contadini socialisti rivoluzionari che si opposero alle requisizioni del governo sovietico delle derrate alimentari. Tra Russia e Ucraina morirono 300 mila persone in combattimento, 700 mila fucilate postume, 10 milioni di morti per fame.
Al contrario della carestia degli anni ’30 (Holomodor), furono permessi gli aiuti dall’estero e l’americana ARA distribuì aiuti a più di 12 milioni di persone. I sovietici nascosero e truccarono i dati relativi alla carestia in Ucraina. Quando le organizzazioni umanitarie occidentali entrarono in Ucraina rilevarono come treni carichi di grano invece di essere inviati nelle città ucraine vicine venivano spedite in Russia.
La Nep (Nuova Politica Economica) costituì per Lenin una battuta di arresto nella repressione dei contadini, indotta anche dalle mitragliatrici degli anarchici ucraini alla Machno e alle cannoniere di Kronstadt nella lotta al vero nemico della rivoluzione bolscevica: i contadini ed i piccoli borghesi. E, in una lettera a Kamenev del 3 marzo del 1922, resa pubblica nel 1959, Lenin scriveva: “E’ un grave errore pensare che la Nep metta fine al terrore, noi faremo ricorso al terrore di nuovo e anche in campo economico”. C’erano tutti gli ingredienti per il successivo Holomodor, del 1932-1933 il genocidio per carestia dei nemici ucraini del popolo sovietico, una delle tragedie più gravi mai registrata nella storia, pianificata nei proclami e nelle teorie, scritte nei documenti desecretati e per molto tempo oscurati e ignoti all’occidente
Mi fermo qui, ma immaginate come poteva funzionare un sistema in cui in presenza di un sequestro dei generi alimentari che lasciava i contadini ucraini e i loro figli moribondi, in cui cercavano di sopravvivere mangiando la carne del figlio morto più debole, come mi conferma una conoscente ucraina che mi riporta il racconto della sua bisnonna; le derrate alimentari venivano elargite agli informatori che denunciavano chi nascondeva anche un pugno di grano per sfamarsi, oltre a quello che si trattenevano i commissari incaricati dei sequestri. Non ho mai letto una storia e dei documenti da cui traspare una lotta così profonda e mortale tra due “nazionalismi”, continua e nei secoli. Altro che popoli fratelli.
Sembra di leggere un conflitto storico e mortale, attorno ad un limes dove gli Ucraini si battono da sempre per il loro essere europei, quando ancora l’Europa si divideva tra Prussia, impero austroungarico, piemontesi, ecc. O forse e soprattutto quando l’Europa si divideva tra sacro romano impero, mongoli, musulmani e il Papa inviò all’allora Etmano ucraino il riconoscimento per aver difeso la cristianità nella terza Roma (XV secolo).
Ogni paese ha i suoi scheletri, milioni di scheletri negli armadi e per trovare pace dovremmo evitare di soffermarci sulle tragedie quando vengono utilizzati per attizzare l’odio nel presente. Ma quando nel conflitto ucraino in corso si sentono italiani che si chiedono: “ma cosa vogliono questi ucraini”, ma che diano un po’ di terra, anzi di terriccio, allora credo che un po’ di armadi possano andare aperti e non quelli che si trovano su Facebook.
Ogni storia ha radici e particolarità e, in questo contesto, parlare di pericolose provocazioni da parte dell’occidente mi suona risibile. A meno che non diciamo che l’egemonia occidentale dovrebbe sottostare ad una politica che, per evitare guai più grossi, deve allearsi con il cane più grosso e più nuclearizzato, per dividersi il mondo in sfere di influenza. E in questo contesto, si può immaginare che non parlare il “linguaggio delle armi” in Ucraina (e in Sudan, e in Mali e in Siria, ecc.?) si fermerebbe la guerra? Certo che si fermerebbe! Non vedremmo più questa parola nei nostri tg, associata all’Ucraina, anche perché sparirebbe, divisa in due protettorati. E le dichiarazioni che fanno i dirigenti russi di oggi sul fatto che l’Ucraina non esiste ucraina e altre amenità del genere, sono macabri scherzi? Oppure si pensa che i Russi sarebbero costretti a tenere in conto della sovranità ucraina dalla minaccia che riprenderebbero il conflitto? E tutte le testimonianze raccolte dagli ucraini sul fatto che accettano Zelensky come loro leader, solo perché li permette di combattere per la loro libertà e la loro terra sono invenzioni della propaganda occidentale?
Perché in fondo sarebbero due popoli fratelli che stanno insieme, laggiù nel lontano est. E non possiamo occuparci di tutto, stiamo già dando il nostro appoggio ai Curdi, stiamo liberando gli immigrati dai lager libici, stiamo già supportando la ribellione in Iran. O forse no. E poi, non siamo intervenuti in altri casi in cui avremmo dovuto combattere, non vorremmo per caso fare delle disparità.
(28 aprile 2023)
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