di Massimo Mastruzzo*
L’Equità Territoriale, nel panorama politico nazionale, è una novità che travolge perché rappresenta un concetto elementare, intelligibile, politicamente declinabile ovunque e soprattutto incontrovertibilmente previsto dalla nostra Costituzione.
Il M24A-ET, Movimento per l’Equità Territoriale, è un sassolino caduto quasi accidentalmente nel grande mare dell’ipocrita politica italiana, ma ha già creato importanti anelli concentrici che si sono propagati fin dentro le stanze del parlamento italiano e tra i corridoi di Bruxelles.
Tra le importanti iniziative del Movimento per Equità Territoriale c’è la battaglia per fermare l’autonomia differenziata. Abbiamo già depositato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare per l’abolizione del Comma 3 dell’art. 116 della Costituzione Italiana con cui si intende abolire tutti i tentativi di Autonomia Differenziata che causeranno ulteriori squilibri tra le Regioni italiane e, soprattutto, l’accrescersi del divario socio-economico tra Centro-Nord e Mezzogiorno (isole comprese), a breve inizierà la raccolta firme in tutte le piazze italiane e con tutte le modalità previste dalla legge.
La ricchezza delle Regioni del Nord che oggi chiedono l’autonomia differenziata è dovuta alla concentrazione della spesa pubblica in quelle aree, che è stata finanziata con le tasse pagate da tutti i cittadini, compresi quelli del Sud.
Alla proposta di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna di trattenere il residuo fiscale, noi ci opporremo in tutti i modi. Primo perché contraddice ogni principio di solidarietà che è la base della coesione sociale di un Paese. Secondo perché contravviene a tutte le indicazioni provenienti dall’Unione europea che nel regolamento del Next Generation EU ha chiarito in maniera inequivocabile un punto: l’Italia riparte solo se riparte il Sud.
I criteri che la Commissione Europea, con il Next Generation EU (comunemente chiamato Recovery Fund), ha usato per ripartire le risorse tra gli stati membri, che ricordiamo essere:
1) Popolazione;
2) Reddito pro-capite;
3) Tasso medio di disoccupazione negli ultimi 5 anni.
Hanno fatto sì che dei 750 miliardi da suddividere tra gli Stati membri, all’Italia è toccata la fetta più grande, 209 miliardi di euro, la cifra maggiore la si deve, purtroppo, ai criteri (negativi) riguardanti il reddito pro-capite più basso e il tasso medio di disoccupazione negli ultimi 5 anni più alto, presenti proprio nel Mezzogiorno.
Appare ovvio che per raggiungere l’auspicata coesione sociale attraverso l’uso dei fondi europei, questi dovrebbero andare proporzionalmente in quota maggiore proprio al Mezzogiorno d’Italia.
Non serve un grande statista, né chissà quale modello keynesiano, per comprendere che una nazione non può reggere a lungo avendo costruito al suo interno una bad company. O meglio non più, visto che l’Italia è letteralmente divisa in due da una disomogeneità territoriale che non ha eguali tra i 27 Stati membri. Basterebbe un corso serale in economia domestica per comprendere che si avrebbe, grazie all’interdipendenza economica, un maggiore ritorno economico investendo nella realizzazione di infrastrutture dove queste sono assenti e non dove sovrabbondano.
La Commissione europea ha dato delle chiare indicazioni, affinché gli investimenti vadano nella direzione della maggior coesione sociale. La Costituzione italiana già lo prevede (vedi articolo 3). Noi del Movimento per Equità Territoriale le pretendiamo.
*Direttivo nazionale M24A-ET
Movimento per l’Equità Territoriale
(7 maggio 2022)
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